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Come spendere presto e bene le risorse del Recovery Plan? Con la certificazione

Intervista
27 maggio 2021

Molte le domande, i pensieri e le convinzioni degli italiani sulla gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le risposte nel nuovo Osservatorio Accredia realizzato con Censis e presentato dal suo Direttore Generale Massimiliano Valerii.

Sei missioni e oltre 200 miliardi di euro destinati. Si è parlato tanto in questi ultimi mesi di Recovery Plan. Ma come verranno impiegate le risorse? Quali strumenti saranno utilizzati per controllare l’efficienza e l’efficacia del loro utilizzo? Sono questi i dubbi degli italiani. Li analizza Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis, che ha realizzato lo studio del nuovo Osservatorio Accredia “La certificazione accreditata al servizio del Recovery Plan”.

 

Impiegare presto e bene le risorse straordinarie per il Recovery Plan, con meccanismi efficaci e fluidi, è in cima ai pensieri degli italiani. E’ quanto rivela l’ultimo studio realizzato dal Censis e da Accredia. Ci può brevemente raccontare i risultati dell’indagine?

Fino a oggi siamo stati tutti concentrati su cosa mettere nel Recovery Plan e sulle cifre da spostare per una missione piuttosto che per un’altra. Questo studio invece si concentra su un altro tema, cioè su come realizziamo il piano cercando il giusto trade off tra due esigenze.

Da una parte, l’esigenza di spendere rapidamente le risorse, perché noi sappiamo che da questo dipenderà l’erogazione delle successive e, dall’altra, l’esigenza di verifiche e controlli sugli impegni di spesa. Questa è una preoccupazione per gli italiani soprattutto se guardiamo l’esperienza delle risorse europee dell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020: l’Italia ha speso soltanto il 50,8% di quei 72,2 miliardi di euro destinati al nostro Paese. Una spesa sotto la media europea, che si attesta al 55,7% (61,9% per la Germania e 66,1% per la Francia).

Qual è quindi l’opinione degli italiani da questo punto di vista sul PNRR? Un’ampia maggioranza, il 56%, ritiene che le risorse vadano spese velocemente ma senza rinunciare a verifiche e controlli puntuali. Il 30% invece ha una posizione più rigida e auspica un controllo ferreo da parte della Pubblica Amministrazione anche a costo di rallentamenti. Per un modesto 6,5%, invece, bisognerebbe azzerare i controlli per velocizzare il più possibile le procedure.

Le certificazioni di qualità accreditate di imprese o professionisti possono dare quindi un contributo molto significativo a questo doppio obiettivo che vede, da una parte, la voglia di accelerare le procedure di spesa quanto più possibile e, dall’altra, il desiderio di non derogare ai controlli in modo da evitare fenomeni di irregolarità, illegalità o addirittura di inappropriatezza della spesa.

 

Secondo quanto emerso dallo studio dell’Osservatorio Accredia, il 75,5% degli italiani teme che la pressione a spendere rapidamente le risorse del Recovery faccia abbassare la guardia sui controlli. Quali garanzie chiedono gli italiani a tal riguardo?

Il primo timore espresso dall’80% degli italiani riguarda le lobby e la paura che l’impiego delle risorse prevalga per la realizzazione degli interessi particolari piuttosto che per i benefici collettivi. Il 76% vede invece nell’eccesso di burocrazia il rischio dell’utilizzo delle risorse. D’altra parte, per il 67%, esiste oggettivamente un eccesso di leggi e regolamenti che rendono le procedure più farraginose. Poi abbiamo un 66% che teme la scarsa qualità dei progetti inclusi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. C’è, infine, un 65% che ha paura che queste risorse vengano utilizzati in maniera impropria, con investimenti su progetti che non sono realmente prioritari per il Paese.

 

Il settore TIC, ovvero Testing Inspection and Certification, può dare il proprio contributo strategico per la ripartenza del Paese, senza derogare a regole e controlli. Ci può spiegare meglio come?

Da questo punto di vista, gli organismi e i laboratori accreditati sono una soluzione già esistente, che può contribuire sia all’impiego tempestivo delle risorse e dei processi decisionali di spesa sia a fornire le garanzie rispetto alle norme e agli standard tecnici. Sono una soluzione pronta all’uso, perché già sperimentata.

Possiamo fare tanti esempi in tal senso. Come il ruolo giocato dagli organismi e dai laboratori nel piano Industria 4.0. Sono una risposta perché in qualche modo le certificazioni e le prove accreditate la necessità da parte della PA di fare dei controlli ex-ante sui soggetti economici che si candidano alla realizzazione concreta dei progetti e garantiscono una verifica in itinere, rigorosa, sull’efficacia e l’efficienza, cioè il rispetto degli standard tecnici. In questa maniera alleggeriscono la PA di un carico straordinario di impegni e di attività che difficilmente sarebbe in grado di realizzare, a fronte di risorse così cospicue, nell’ordine dei 200 miliardi di euro previsti dal PNRR.

 

Sfogliando lo studio troviamo una Tavola Sinottica molto utile che distribuisce le valutazioni della conformità accreditate, dalle certificazioni alle ispezioni, dalle prove alle tarature, tra le sei missioni del PNNR, dimostrando come siano una soluzione già pronta da mettere in campo. Può farci un esempio?

Consideriamo ad esempio i due “pedali” della transizione previsti con priorità dal Recovery Plan, il digitale e la transizione ecologica. Su entrambi, la certificazione degli strumenti e delle procedure dei sistemi di gestione, così come di alcune figure professionali, giocano un ruolo perché stabiliscono la conformità alle norme internazionali, agli standard tecnici riconosciuti, prevengono anche fenomeni come quelli di tipo corruttivo e alla fine generano un effetto economico moltiplicatore.  E’ dimostrato infatti che le aziende certificate sono sicuramente più efficaci ed efficienti nella loro azione.

Abbiamo fatto una stima che prevede come obiettivo al 2023 di raggiungere il numero di 150 mila imprese certificate sotto accreditamento, cioè 60 mila in più rispetto a quelle oggi esistenti. In base a questa stima avremmo un contributo aggiuntivo al Pil nell’ordine di 30 miliardi di euro da qui al 2023. Un vero e proprio effetto moltiplicatore sulla crescita economica.

A questo vanno aggiunti anche dei benefici sociali che stimiamo in un valore di 2,2 miliardi di euro annui. Pensiamo all’impatto positivo in termini di tutela dell’ambiente quindi, riduzione delle emissioni inquinanti, risparmio energetico. Pensiamo al lavoro, in termini di riduzione di infortuni sui luoghi di lavoro. Pensiamo ancora alla sicurezza alimentare, con una riduzione delle malattie legate al cibo e quindi anche dei relativi costi sociali. E’ infatti dimostrato che le imprese certificate in questi settori ottengono performance migliori rispetto alle altre, sia per vantaggi economici sia per benefici sociali.

 

I consumatori italiani sembrano sempre più maturi nel rapporto con i consumi, esigendo che i prodotti e le imprese da cui li acquistano rispettino determinati requisiti. Come siamo arrivati secondo lei a questa consapevolezza?

E’ stata una lunga strada di maturazione della “cultura consumeristica”, a cui hanno contribuito anche una serie di shock che si sono verificati nel tempo, e tra questi possiamo citare anche la pandemia. Anche su questo abbiamo sondato l’opinione pubblica, rilevando che per il 95% degli italiani è fondamentale il requisito della sicurezza dei beni o servizi che acquista e per un 91% è importante che i prodotti acquistati vengano da aziende in cui la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro siano garantite e certificate.

Il 90% degli italiani richiede la sostenibilità ambientale e che l’impresa fornitrice abbia una grande attenzione per i temi della tutela della protezione dell’ambiente, e l’87% pretende che le imprese fornitrici rispettino la legalità e quindi si adoperino contro il rischio di fenomeni corruttivi. Per il 79% degli italiani è fondamentale la protezione dei dati personali e, infine, il 92% ritiene di ottenere queste sono garanzie attraverso la certificazione dei prodotti e dei servizi. I consumatori hanno quindi maturato una consapevolezza e una domanda di sicurezza e di garanzie su una serie di fattori che si sono evoluti nel tempo e sono diventati prioritari.