Dimostrare come la certificazione accreditata possa rappresentare uno strumento per lo sviluppo del commercio internazionale. E’ stato questo l’obiettivo del nuovo studio dell’Osservatorio Accredia “Commercio internazionale, il valore dell’accreditamento e della normazione”, presentato a Roma lo scorso 14 maggio in occasione dell’Assemblea aperta dei Soci, e animato dal dibattito della Tavola Rotonda “La certificazione accreditata, uno strumento per lo sviluppo del commercio internazionale”, che ha riunito istituzioni nazionali e internazionali, dalla rappresentanza dell’UE in Italia, alla Commissione europea, dall’Agenzia ICE al WTO.
L’analisi dettagliata, realizzata per Accredia da Lucia Tajoli e Luca Salvatici, Professori ordinari rispettivamente di Politica economica del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi Roma Tre, ha verificato gli effetti sul commercio internazionale delle barriere tecniche, definite anche misure non tariffarie (NTM), utilizzate dai Governi con lo scopo di ridurre le importazioni. E ha dimostrato come l’accreditamento, sostenuto dall’armonizzazione degli standard, facilita le esportazioni di prodotti di qualità e sicuri.
“L’insieme di regole formato da accreditamento, valutazioni di conformità, normazione e metrologia – la cosiddetta Infrastruttura della Qualità (IQ) – è il quadro di riferimento necessario per assicurare che vengano svolti i dovuti controlli sulla qualità di prodotti e servizi, idonei a circolare in qualsiasi sistema economico che aspiri all’integrazione”, osserva la Prof. Lucia Tajoli del Politecnico di Milano. L’attuale sistema delle catene globali di valore (GVC), in cui diverse fasi degli stessi processi di produzione possono avvenire in diversi Paesi, infatti, ha portato a una sempre maggiore frammentazione della produzione, aumentando i potenziali benefici del commercio internazionale ma sollevando, al tempo stesso, timori crescenti sulla sicurezza dei beni.
“E’ il caso anche delle imprese dei Paesi del Nord Africa, come Egitto e Marocco, ben integrate nelle reti di produzioni globali – continua Luca Salvatici dell’Università degli Studi Roma Tre – per cui l’ingresso nelle catene globali di valore (GVC) ha richiesto il possesso delle certificazioni accreditate per adeguarsi agli standard internazionali e soddisfare particolari requisiti di affidabilità e qualità, così da poter interargire e collaborare con le imprese multinazionali dei Paesi sviluppati e che hanno visto crescere la loro produttività del 30-60%”.
Senza dimenticare le barriere non tariffarie, ovvero tutte quelle normative, standard di conformità, discipline a tutela dell’ambiente e della sicurezza, utilizzate dai governi per ridurre le importazioni nel proprio Paese.
“In Europa, dove con il Mercato Unico assistiamo alla forma più avanzata di integrazione economica, l’Infrastruttura della Qualità gioca un ruolo fondamentale nel coordinamento delle regolamentazioni nazionali – fa notare la Professoressa Tajoli -. Secondo le stime della Commissione europea, l’eliminazione delle barriere non tariffarie esistenti ha comportato un elevatissimo risparmio in termini di costi per le imprese, mantenendo allo stesso tempo un livello di tutela, di fiducia e di garanzia per il consumatore, registrando un aumento del PIL di oltre 300 miliardi di euro e la creazione di 2,8 milioni di posti di lavoro, tra il 1992 e il 2006”.
In quest’ottica, giocano un ruolo decisivo gli accreditamenti rilasciati nell’ambito del mutuo riconoscimento EA (European co-operation for Accreditation), accettati quindi in tutti i Paesi europei aderenti, che hanno portato all’eliminazione delle doppie certificazioni e quindi dei costi doppi per le imprese. Accreditamenti che, nel 2018, hanno raggiunto quota 35.276.
“Lo studio che abbiamo realizzato – ha proseguito Tajoli – dimostra non solo che l’eliminazione delle barriere non tariffarie in ambito europeo ha portato molto di più dell’eliminazione dei dazi ma, nel caso dell’Italia, ha comportato un aumento degli scambi di diversi punti percentuali per tutte le imprese italiane, soprattutto per le piccole e medie imprese”.
Un modello replicabile anche al di fuori dei confini europei, come dimostrano i recenti accordi commerciali bilaterali della UE con Canada e Corea del Sud che disciplinano il “mutuo riconoscimento” delle rispettive misure non tariffarie. Grazie a questi accordi, le imprese italiane hanno registrato una crescita dell’export verso il Canada del 4,5% nel 2018, e flussi più che raddoppiati per i settori del food, tessile ed abbigliamento verso la Corea.
“Le barriere non tariffarie non sono una questione nuova all’interno del WTO ma stanno acquistando un’importanza crescente, perché i prodotti sono sempre più complessi, i consumatori vogliono prodotti sicuri e i prodotti comportano maggiori rischi – sottolinea Lauro Locks del WTO –. La gestione e la regolamentazione di queste barriere sono fondamentali per supportare le PMI nell’esportazione verso i mercati esteri, come testimoniano gli accordi del ’79 sulle barriere tecniche al commercio e quelli del ’94 sulle misure fitosanitarie”. E gli standards, così come le valutazioni di conformità accreditate possono favorire gli scambi, assicurando una maggiore fiducia tra i consumatori mediante il rigoroso rispetto di regole comuni.
“Le certificazioni, così come le ispezioni, le prove di laboratorio o le tarature accreditate che accompagnano la commercializzazione di prodotti o servizi permettono quindi di far conoscere e apprezzare in tutto il mondo la qualità italiana – sottolinea il Presidente di Accredia, Giuseppe Rossi – . Per questo, anche durante gli anni di crisi economica, le attività accreditate non hanno smesso di crescere. Un processo che Accredia, che quest’anno festeggia i dieci anni dalla sua costituzione, ha facilitato e assecondato, mettendo a disposizione le migliori capacità e competenze”.