A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso la progressiva riduzione dei costi di trasporto e l’avvento di Internet hanno contribuito a un processo di integrazione dell’economia mondiale, caratterizzato da un significativo aumento dei flussi globali di informazioni, capitale, lavoro, tecnologia e beni.
Oggi la maggior parte degli scambi mondiali (circa il 75%) avviene nell’ambito delle catene globali del valore o GVC – Global Value Chains, complesse organizzazioni di imprese che si intersecano, a vari livelli, con altre reti di produzione, spesso altrettanto articolate a livello nazionale e internazionale. All’apice vi sono imprese leader di filiera, in genere transnazionali, che coordinano più soggetti operanti in diversi Paesi e settori. L’insieme di questi soggetti concorre alla realizzazione dei beni finali, fornendo prodotti e servizi intermedi. Questi scambi implicano un elevato grado di coordinamento e di cooperazione anche tra imprese indipendenti, in analogia a quanto avviene all’interno di un gruppo.
Nel percorso di integrazione economica è stato fondamentale l’utilizzo di standard per garantire la compatibilità tra prodotti e processi nelle catene di produzione, perché trasmettono informazioni, consentono l’interoperabilità tra prodotti e processi e garantiscono livelli minimi di qualità e sicurezza.
Per svolgere il proprio ruolo gli standard devono tuttavia essere inseriti in un sistema credibile, l’Infrastruttura per la Qualità, in grado di infondere fiducia sull’effettiva corrispondenza dell’oggetto certificato rispetto alla qualità attesa dall’acquirente. A questo scopo l’accreditamento garantisce imprese e consumatori facilitando gli scambi, soprattutto a livello internazionale, perché attesta la capacità degli organismi di certificazione e ispezione e dei laboratori di prova e taratura di svolgere l’attività di valutazione della conformità.
Pur offrendo i propri prodotti su scala globale, spesso le GVC operano in aree geografiche più limitate e i loro scambi tendono a concentrarsi a livello regionale, al fine di contenere i costi logistici e di trasporto. È il caso del Mercato Unico, un modello di integrazione economica sostenuto da un’Infrastruttura per la Qualità europea che grazie all’accreditamento e al riconoscimento tra Paese membri delle valutazioni di conformità accreditate, facilita gli scambi di beni e servizi evitando doppi controlli alle frontiere e diffondendo il necessario clima di fiducia.
Si tratta di un sistema in continua espansione in termini di competenze tecniche e dunque di prodotti e servizi coinvolti negli scambi. Il numero di accreditamenti rilasciati, mutualmente riconosciuti grazie agli Accordi MLA di EA (European co-operation for accreditation) è una buona misura del grado di diffusione di tale struttura. Erano circa 37.000 gli accreditamenti a fine 2019 testimoniando una crescita diffusa nel periodo 2017-2019 per tutte le attività di valutazione della conformità accreditate.
Il Mercato Unico ha contribuito alla maggiore regionalizzazione degli scambi tra Paesi europei, anche di beni intermedi, e ha costituito indubbiamente una leva per far fronte alla competizione globale. Ma il Mercato Unico dovrà essere anche il punto da cui ripartire per rispondere in maniera coordinata alle sfide poste dalla pandemia di Covid-19 e un’ulteriore regionalizzazione delle catene del valore, così come ipotizzato da molti economisti, potrebbe essere un’opportunità per il nostro Paese di guadagnare quote di mercato.
Negli ultimi tre decenni il peso del commercio internazionale è cresciuto rapidamente rispetto al PIL, mostrando tuttavia le contrazioni del peso dell’export sull’economia globale in corrispondenza di tutte le crisi che hanno afflitto le nostre economie (dalle dot-com del 2001 alla crisi dei debiti sovrani in Europa nel 2011). Il commercio globale risente pesantemente di congiunture sfavorevoli che si propagano tra mercati integrati.
Anche se è ancora presto per avere dati completi e previsioni con un ragionevole grado di certezza, è già evidente che la pandemia avrà effetti molto pesanti sull’economia di molti Paesi a partire da quest’anno e nel futuro, incidendo sulle curve di crescita del PIL mondiale. Il commercio internazionale, che risultava in decelerazione già nell’ultima parte del 2019, a causa del generale rallentamento del ciclo economico in molti Paesi, delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina e della crisi dell’automotive europeo, tende a seguire in modo amplificato le variazioni della produzione per via delle forti interconnessioni esistenti nel ciclo produttivo di tutti i maggiori Paesi.
Il rallentamento di un sistema economico si trasmette quindi ai sistemi connessi e si aggiunge al rallentamento locale. Inoltre, per ovvie ragioni prudenziali, i controlli alle frontiere di alcune tipologie di merci e sugli spostamenti delle persone vengono intensificati, rendendo gli scambi più problematici e costosi.
La speranza è tuttavia che le politiche in atto nelle principali aree economiche, con interventi massicci sia dal lato della politica monetaria sia dal lato della spesa pubblica, possano contenere la gravità e la durata della recessione, soprattutto considerando la tempestività con la quale sono state adottate.
Una risposta coordinata tra Paesi che mitighi gli effetti depressivi sul commercio internazionale derivanti dalla crisi sanitaria è particolarmente importante per l’Italia. A partire dal 2008 proprio attraverso l’export è stato possibile sostenere la domanda in presenza di una pesante flessione di quella domestica, soprattutto per investimenti, certificando la forte vocazione esportatrice del nostro Paese. Inoltre, in un’economia come quella italiana, priva di materie prime e con poche risorse energetiche, le importazioni sono un veicolo indispensabile.
Il mantenimento dell’apertura dei mercati mondiali è ancora più importante nell’attuale fase di profonda incertezza che attraversa l’economia mondiale e che ha già messo l’economia italiana in ginocchio. La pesante flessione del PIL italiano registrata nel primo trimestre 2020 è stata pari al -5,3%, sintesi della contrazione del valore aggiunto in tutte le principali componenti produttive, mentre dal lato della domanda si sono registrati contributi negativi sia nella componente domestica che in quella estera. Un quadro che rappresenta la complessità di una crisi da cui nessun Paese è in grado di uscire autonomamente in tempi sufficientemente rapidi da non condizionare pesantemente la crescita potenziale futura.
Da un lato, è proprio la globalizzazione dei mercati a contribuire a una rapida diffusione della crisi economica in atto, ma in questa fase gli scambi tra Paesi svolgono un ruolo fondamentale, ed è essenziale cercare di non ostacolarli. Il commercio internazionale spesso garantisce la disponibilità di medicinali vitali, prodotti medici e servizi sanitari, in particolare per i Paesi più vulnerabili, posto che nessun Paese è completamente autosufficiente per i prodotti e le attrezzature di cui ha bisogno per i suoi sistemi di sanità pubblica. Sulla base di un elenco di beni collegati all’emergenza Covid-19 pubblicato dall’Organizzazione mondiale delle dogane, recentemente Prometeia ha stimato il valore del commercio di tali beni (che vanno dai dispositivi di protezione agli apparecchi per la sterilizzazione) pari ogni anno a 800 miliardi di dollari.
Attraverso il commercio internazionale è possibile dunque sopperire a carenze di produzione distribuendo i beni in modo efficiente dove sono più necessari e questo è possibile farlo anche grazie a un’Infrastruttura per la Qualità che faciliti gli scambi su scala globale. In questa situazione di emergenza, nonostante la tentazione di alcuni Paesi di chiudere le frontiere e di applicare restrizioni agli scambi per accumulare scorte, i Governi si stanno accorgendo di avere bisogno gli uni degli altri per far fronte alla crisi. In più, il fatto che la fase di lockdown prima e di allentamento delle misure poi non è stata simultanea nelle diverse parti del mondo, rende asimmetrica la conseguente crisi di offerta e di domanda, aumentando l’importanza di mantenere aperti gli scambi internazionali proprio come mezzo per bilanciare le necessità e le capacità produttive dei singoli Paesi.