I grandi temi discussi al G20 di Roma e nella Conferenza sul clima di Glasgow (COP26) mostrano tutta la loro complessità di questioni globali altamente divisive – i cambiamenti climatici, l’azione umana che esercita effetti sull’ambiente e sul consumo di risorse – e sollevano posizioni contrastanti tra Paesi, ma anche la necessità di condividere un disegno di sviluppo globale.
Per comprendere il cambiamento climatico è necessario mettere in luce la correlazione articolata di un numero elevato di elementi che convivono nello spazio e nel tempo, al fine di sviluppare politiche adeguate. In particolare, per conoscere, capire e governare processi come l’impatto ambientale della crescita economica e demografica in un contesto altamente globalizzato, è fondamentale riferirsi a metodi di analisi utili a comprendere i meccanismi che regolano l’interazione tra i tanti elementi del fenomeno, come gli strumenti del pensiero sistemico introdotto e sviluppato da Donella Meadows.
Politiche globali per la transizione ecologica
La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), costituita dai 197 Stati, parte della Convenzione quadro sul cambiamento climatico del 1992, è una organizzazione internazionale, della “famiglia” delle Nazioni Unite. Con la sua azione sta cercando di governare le politiche di contrasto al cambiamento climatico già a partire dal Protocollo di Kyoto (1997) e dagli Accordi di Parigi (2015). Quello che ha cercato di fare nell’ultimo incontro di Glasgow è stato stabilire un orizzonte comune definendo limiti ancora più stringenti di quelli decisi nel 2015, al fine di arrivare a una neutralità climatica entro il 2050.
In sintesi i principali risultati raggiunti puntano a:
Tuttavia la COP26 ha mancato l’obiettivo della definizione degli aiuti ai Paesi meno sviluppati per affrontare la crisi climatica: nel testo dell’Accordo non è fissata una data per attivare il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno in aiuti per la decarbonizzazione, già previsto dagli Accordi di Parigi del 2015. Il documento finale non prevede poi un fondo apposito per ristorare le perdite e i danni del cambiamento climatico nei Paesi vulnerabili.
I contributi nazionali (NDC) a una politica ambientale globale hanno alzato il livello della tensione tra Paesi spinti da interessi contrastanti. Per gli emergenti, aderire a regole stringenti per il contenimento delle emissioni di CO2 significa interrompere un percorso di crescita virtuoso che sta portando queste società a un livello di sviluppo sempre più vicino a quelli dei Paesi del blocco occidentali.
La contrapposizione tra interessi mondiali e interessi nazionali ha dunque condizionato gli esiti della COP26. Le criticità del dibattito sono riconducibili, come detto, agli interessi contrastanti tra economie consolidate neoliberiste ed economie emergenti più inclini ad un capitalismo controllato. L’assenza di Russia e Cina alla Conferenza sul clima di Glasgow, unitamente alla scelta degli Stati Uniti di sospendere i dazi sull’acciaio e l’alluminio europeo, sono elementi che evidenziano il conflitto esistente tra i due “blocchi” di Paesi.
Inoltre, per molti analisti il principio di “giustizia climatica” rende in ogni caso già sorprendente l’accettazione da parte di Cina e India del limite ad 1,5 gradi centigradi di contenimento della temperatura globale rispetto ai livelli pre-industriali. Si tratta di un’impostazione teorica per la quale una diversa tempistica per la transizione verde in questi Paesi è giustificata da due elementi. Il primo è il rapporto sulle emissioni pro capite, nettamente inferiore per i due paesi più popolosi del mondo (Cina e India); il secondo è la circostanza di essere approdati all’epoca dell’industrializzazione post-moderna solo in tempi recenti, rispetto a Stati Uniti ed Europa, e di avere un’economia con un livello inferiore di terziarizzazione e a minore valore aggiunto.
Interessi contrastanti necessitano di una lettura di sintesi del tema ambientale che tenga conto dei molteplici aspetti, anche di sostenibilità economica, e li legga attraverso una lente di analisi intergenerazionale. La risposta a un problema globale deve essere condivisa e unitaria. Che il multilateralismo sia la migliore risposta, come dimostrato dal coinvolgimento di vari attori della società civile (a partire dal Fridays for future nella definizione dell’agenda COP26), è fuor di dubbio, ma come governare sistemi complessi in regime di incertezza? Governare la complessità in regime di incertezza implica una lettura sistemica dei processi, degli elementi di base e delle relazioni tra questi.
IQ per un linguaggio comune della politica globale
Disegnare un modello di sviluppo globale e sostenibile in un sistema a risorse finite necessita di un alto livello di trasparenza e condivisione tra Paesi. Per questo, gli elementi dell’Infrastruttura per la Qualità (IQ), a partire dagli standard tecnici, potrebbero essere uno strumento di dialogo che omogeneizza il linguaggio e rende efficaci le politiche. E quindi offrono l’opportunità di accelerare la transizione ecologica delle economie. Un approccio sistemico a problemi globali, anche attraverso il ricorso alle Infrastrutture per la Qualità nazionali, aiuterebbe a mettere in contatto le politiche di Paesi diversi contribuendo alla loro efficacia e realizzazione.
Tra le tante dimensioni che rendono la transizione ecologica un processo complesso, la mobilitazione di capitali privati verso attività sostenibili (cd. finanza verde) necessita di strumenti tecnici di selezione. Tra gli elementi della IQ, l’accreditamento è una garanzia delle reali caratteristiche di sostenibilità degli investimenti che contribuisce ad evitare fenomeni distorsivi che possono influire negativamente sull’efficienza dei mercati e delle politiche.
IQ per misurare l’efficacia delle politiche ambientali
Un altro punto di interesse è il fatto che, oltre a supportare i Paesi nella condivisione di un linguaggio comune per disegnare una politica ambientale globale, la IQ fornisce elementi per misurarne l’efficacia. Il vantaggio di un’azione pubblica efficace per la comunità globale si aggiunge al beneficio privato delle aziende che agli strumenti dell’IQ si rivolgono contribuendo, di fatto, alla realizzazione degli obiettivi di policy. Il processo decisionale internazionale ora include non solo le voci degli Stati membri, rappresentati dai loro Governi, ma anche delle organizzazioni locali, regionali e internazionali, Enti non governativi e il settore privato. Multilateralismo, cooperazione e costruzione del consenso, devono allora basarsi su strumenti riconoscibili e chiari per sviluppare un’azione congiunta. Non una somma di singole politiche nazionali quindi, ma una sintesi globale fondata su linguaggi e principi comuni.
Nella lettura del contributo che, accreditamento e normazione in particolare, possono dare nel governare politiche globali complesse è interessante sottolineare il ruolo di rilevanza della IQ italiana ha nel quadro complessivo. Con oltre 2.000 soggetti accreditati e 127.284 certificati ISO validi rilasciati alle imprese italiane (ISO Survey 2020), il nostro Paese è leader in Europa e tra i primi al mondo per livello di sviluppo di normazione e accreditamento. Accredia condivide ovviamente tale successo, ma anche per quanto detto, la responsabilità, con UNI (Ente Italiano di Normazione) e tutti gli attori, pubblici e privati, che costituiscono il quadro istituzionale di riferimento per le attività della IQ italiana.